Chiesa del Carmine

Fu edificata ad iniziare dal 1696 su progetto dell’architetto Giuseppe Antonio Torri per volontà dei Padri Carmelitani del vicino convento. La “vecchia chiesa”, che si trovava annessa al convento lungo la “Contrada di Mezzo”, era ormai considerata inadeguata all’importanza della comunità carmelitana medicinese che aveva espresso, tra l’altro, quattro generali dell’Ordine. Dopo diversi controversi progetti, venne scelto di innalzare la nuova chiesa nel luogo più idoneo, anche se – esempio unico – separata dall’edificio conventuale da una strada pubblica (Via Canedi).

Per ovviare a questo non piccolo inconveniente i frati ottennero dal Comune di realizzare alcuni sottopassaggi tra convento e chiesa e tra i sotterranei di servizio delle due parti, opere che fecero fantasticare a lungo i medicinesi. La costruzione della chiesa si protrasse tra la fine del ‘600 e il 1724, anno in cui il tempio venne benedetto solennemente. L’esterno, a croce latina con alto tiburio ottagonale, si impone per slancio verticale e coerenza tra volumi architettonici i quali richiamano, intenzionalmente, l’immagine araldica del Monte Carmelo che è ripetuta sul timpano della facciata e nel traforo del campaniletto a vela, sul lato. La facciata, ultimata nella seconda metà del ‘700, è organizzata in un unico “ordine gigante” che ne accentua la maestosa elevazione. L’interno venne realizzato secondo il progetto del Torri ma con modifiche nelle misure delle finestre e nel disegno degli stucchi, secondo varianti ideate da Alfonso Torreggiani.

Anche internamente lo spazio è valorizzato e dilatato con sapienza pur mantenendo proporzioni di elegante solennità, cui conferiscono nobiltà gli stucchi tra i più espressivi del primo Settecento bolognese, opera di Antonio Callegari, per gli ornati architettonici, di Filippo Scandellari per le 4 statue dei pontefici carmelitani negli altari del transetto, di Angelo Piò per gli angeli e le grandi statue di Elia ed Eliseo nella magnifica ancona maggiore. Nonostante la struttura necessiti di restauri – che vengono realizzati con ovvia gradualità – nell’interno sono ancora conservate al loro posto – restaurate a cura della soprintendenza competente – tutte le pitture settecentesche originali, eseguite per conto di diversi carmelitani medicinesi dai maggiori pittori d’area bolognese, secondo un programma tematico incentrato sulla storia della spiritualità dell’ordine. Il percorso iconografico, leggibile dall’ingresso all’abside, è bene venga rispettato anche nella visita.

Nelle prime due cappelle, a destra e a sinistra, sono collocate due pale entrambe di Ercole Graziani, di calda e intensa espressività, rispettivamente dedicate a S. Simone Stoch che riceve lo scapolare dalla Vergine e a S. Pietro Thoma, figure fondamentali del carmelo occidentale. Seguono le due cappelle dedicate l’una ai grandi mistici S. Teresa, S. Andrea Corsini con S. Orsola, di Girolamo Gatti, l’altra a S. Angelo martire e S. Alberto, vigorosa pittura di Giuseppe Marchesi detto “Sansone”. Nel terzo altare di sinistra si vede la pala di Antonio Rossi, rappresentante La Vergine e S. Maria Maddalena de’ Pazzi; nel corrispondente altare di destra era collocata soltanto una croce, richiamo della spiritualità della grande carmelitana fiorentina dell’altare di fronte. Sull’ancona del transetto di destra figurava il Transito di S. Giuseppe del Bononi che ora si trova in S. Mamante; in quella di sinistra, a copertura delle reliquie del martire S. Liberato, si trova Cristo e S. Liberato di Francesco Calza.

A lato, nello stesso luogo, è posta la tela “saracinesca” che stava nell’ancona della Madonna del Carmine, con l’angelo che libera le anime del Purgatorio, lavoro del carmelitano forlivese Carlo Roberti. Ai lati dell’abside furono posti, nel 1788, due grandi quadri dell’imolese Angelo Gottarelli, uno Elia vede la bianca nuvola proveniente dal mare, l’altro Elia dormiente riceve il pane e l’acqua. Da ultimo, entro la monumentale ancona del Torreggiani e del Piò, è ancora collocata, restaurata, l’immagine della Madonna del Carmine la cui testa è scultura lignea di Antonio Querci dei primi anni del Seicento. Integrano il complesso architettonico e artistico della chiesa i locali della Sagrestia, costruiti intorno alla metà del ‘700, certamente su disegno del torreggiani – con stucchi di Domenico Gambarini -.

Si accede alla sagrestia in maniera indiretta attraverso un atrio ornato da riquadri a stucco contenenti tarde tempere prospettiche del quadraturista, allievo di Ferdinando Bibiena. Fra Ferdinando da Bologna cappuccino (al secolo Vincenzo Dal Buono). Architetture scenografiche e figure (con episodi di santi carmelitani) appartengono tutte al pittore cappuccino e sono datate intorno al 1776. Il locale di maggior pregio e completezza è tuttavia la sagrestia vera e propria, strutturata come una cappella con presbiterio a colonne staccate ed altare con ancona – ornata di vivaci stucchi – ed arredata con sontuosi armadi barocchi, eseguiti da Carlo Galli da Barlassina (autore anche degli stalli del coro nella chiesa).

Sopra le mosse linee degli armadi e sulla porta d’ingresso, figurano altre tre splendide tempere prospettiche, dello stesso fra Ferdinando da Bologna, dipinte nel 1754, completate nelle figure (con scene della vita del Beato Franco) da Nicola Bertuzzi, autore della intensa tela, rappresentante il Beato Franco in contemplazione del Crocifisso, posta sull’altare. Raramente è dato vedere un risultato unitario di altrettanta ricchezza espressiva, integro in ogni parte, per quanto da restaurare.